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ANALISI DEL RITO FUNEBRE
COME ESEMPIO DI “TEATRO GLOBALE”
 NELLA CITTA’ DI GRAVINA IN PUGLIA


1981-2003
Giovanni Lorusso - Domenica Petrafesa

 

Questa ricerca muove dall’applicazione della concezione del “fare teatro-spettacolo” in senso ampio ad un fenomeno sociale quale quello del rito funebre che in un paese come Gravina in Puglia fino a vent’anni or sono ha  assunto particolari caratteri e peculiarità.

Un lavoro che attraverso il recupero di ricordi, visioni e sensazioni a livello individuale tenta di ricomporre come in un puzzle l’immaginario collettivo della comunità gravinese. Nell’analisi dell’evento funebre in tutta la sua interezza si arrivano ad individuare quelle componenti teatrali, strutturali e sociali che rendono questo evento una vera e propria rappresentazione teatrale.

Per poter comprendere il rito bisogna guardare la realtà sociale e storica della città di Gravina quale era fino alla fine degli anni Settanta, periodo in cui il rito funebre conservava ancora intatti tutti i caratteri interessanti per la nostra ricerca.

Un grande paese di circa 45.000 abitanti in provincia di Bari, ultimo comune della Puglia ai confini con la Basilicata.

Sintesi tra due culture: l’una tendente al progressivo abbandono delle campagne verso un tentativo di industrializzazione - quella pugliese - l’altra ancora ferma ad un tipo di struttura di vita contadina - quella lucana. Un paese che negli ultimi vent’anni ha quintuplicato il proprio territorio cittadino tendendo sempre più ad espandersi lungo i tracciati delle arterie periferiche isolando sempre più il centro storico iniziato a formarsi verso il 900 d.C. e raggiungendo già nel 1600 i 15.000 abitanti.  L’economia del paese è essenzialmente agricola; tuttavia tentativi di industrializzazione sono andati sviluppandosi a partire dagli inizi degli anni Novanta con la nascita e l’espansione del settore del mobile imbottito nato attraverso numerose esperienze imprenditoriali di gemmazione e filiazione tutte ruotanti intorno ad un impresa leader nel settore – Natuzzi -.

 In buona sostanza, un paese che sta in bilico tra passato e futuro che ha abbandonato il centro storico per abitare nei “palazzi” costruiti per lo più abusivamente e  che hanno contribuito alla crescita disordinata delle periferie; un paese che tende sempre più a concentrarsi sul presente, eterodiretto e  distratto dalla sovrabbondanza delle informazioni e dai mille richiami, forse illusioni, che una società dominata dai mass media diffonde sempre più pressantemente recidendo giorno dopo giorno inesorabilmente le sue radici, affievolendo i suoi ricordi, in breve, frantumando e disperdendo la sua cultura e la sua memoria.

Il senso più profondo di questo lavoro è, dunque, quello di recuperare uno dei tanti tasselli che compongono il nostro patrimonio culturale e di socialità che si manifesta in un rito come il rito funebre mettendolo in relazione con una tendenza di avanguardia teatrale (la Postavanguardia) che negli anni Settanta, appunto, irrompeva nel panorama culturale delle giovani generazioni e che nei decenni successivi avrebbe permeato di sé ogni ambito disciplinare in particolar modo quello della comunicazione, dell’intelligenza artificiale e del mondo virtuale e preludendo all’ampio fenomeno postmoderno dell’interattività del quale le attuali generazioni si giovano ed entro il quale si muovono quotidianamente. Con queste nuove sperimentazioni teatrali si cercava di rifondare i vecchi canoni della rappresentazione teatrale ancora condizionata dagli stilemi ottocenteschi del dramma borghese. E’ la stagione del “Teatro Miltante”, “del Convegno del nuovo Teatro” promosso in Italia nel 1967 da personaggi come Corrado Augias, Giuseppe Bartolucci, Carmelo Bene ecc. che sancirono un’era feconda di sperimentazioni. Nel “manifesto” pubblicato nel novembre del 1966 sulla rivista Sipario si affermava che “ci si possa servire del teatro per insinuare dubbi, rompere delle prospettive, togliere delle maschere, mettere in moto qualche pensiero.” Partendo da tali premesse e sullo sfondo dello scenario degli anni Settanta fatto di conflittualità e di antagonismo sociale e politico nasce l’idea della presente ricerca come analisi di un evento entro cui forse poter individuare alcune componenti che in diverso modo si rifanno ad una idea innovativa di teatro. 

 

Il rito funebre è un momento di aggregazione di tutta la comunità attraverso la sua partecipazione a vari livelli. Esso in tutte le sue componenti assume proprio il carattere di un evento teatrale avendone del teatro tutte le componenti. Infatti, una formulazione del concetto di teatro articolata sulla base della presenza di elementi quali il testo, la regia, l’attore, lo spettatore coincide con gli elementi che compongono questo evento.

Il testo è dato dalla stessa ritualità motivata dall’avvenuto decesso, la regia è il frutto della collaborazione tra i familiari e gli addetti alle pompe funebri mentre i partecipanti hanno un duplice ruolo: a volte sono spettatori, a volte attori portandoci alla definizione dell’evento come esempio di teatro globale.

 

DEFINIZIONE DI TEATRO

TESTO            ATTORE

REGIA

SPETTATORE

 

RITO FUNEBRE COME TEATRO GLOBALE

RITUALITA’

POMPE FUNEBRI – FAMILIARI

ATTORI > PARTECIPANTI < SPETTATORI

n.b. Partecipanti = familiari-conoscenti-passanti

 

La durata del rito che si sviluppa dalle 48 alle 78 ore consecutive ci offre l’immagine di un coinvolgimento totale sia in termini di luoghi interessati da questo evento che in termini di partecipazione collettiva includendo momenti più o meno densi di pathos.

Per quanto riguarda i luoghi - quali la casa dell’estinto, la chiesa, il cimitero, il percorso che il corteo funebre compie - oltre al carattere che solitamente gli è proprio, assumono in tali circostanze delle particolari conformazioni scenografiche.

La casa del morto è sistemata in modo tale da soddisfare particolari esigenze innanzitutto di tipo funzionale: una stanza, quella da letto, viene adibita a camera ardente. Quando la stanza è piccola i mobili vengono smontati e trasferiti in altre stanze, se si ritiene opportuno anche il letto viene smontato e al suo posto viene impiantato un baldacchino. Gli specchi presenti vengono coperti con panni neri. Lo specchio, infatti, proprio per il suo carattere luminoso e duplicante (il tale e quale) simboleggia la vita, la presenza che con l’evento viene annullata. Parimenti il panno nero annulla altresì  la possibilità di riprodurre l’evento infausto che in quel momento si sta consumando.

Nella stanza adiacente si dispongono tutt’intorno delle sedie che serviranno per la sosta dei familiari parenti e amici.

La casa è il luogo dove la rappresentazione investe più tempo: giorno e notte consecutivamente. I conoscenti che vengono a visitare il morto una volta entrati nella casa trovano in una prima stanza tutti in fila ad un lato i familiari più intimi e danno loro le condoglianze, successivamente si recano nella camera ardente dove sostano davanti al morto per poi ritornare nella prima stanza dove vi si accomodano per un po’ di tempo. Questo via vai di gente va avanti dal primo mattino sino a tarda notte mentre i familiari più intimi restano a vegliare per tutta la notte il loro congiunto sostenuti in ciò dai conoscenti che mandano loro per ristorarsi del caffè, cioccolato, biscotti ed anche panini. Ciò per il fatto che fintanto che il morto resta ancora in casa i familiari non provvedono alla preparazione dei pasti.

L’ingresso della casa del morto viene differenziata dalle altre con l’addobbo funebre: dei manifesti affissi alle pareti ed il panno funebre costituiscono gli elementi essenziali. I manifesti informano dell’avvenuta scomparsa del concittadino nonché contengono altre informazioni riguardanti il giorno e  l’ora di partenza del corteo funebre. Con l’affissione del manifesto l’invito alla partecipazione si intende rivolto a tutta la comunità salvo nei casi in cui espressamente questa viene dispensata dalle visite per volontà dei parenti stretti, pratica, questa, un tempo più diffusa tra i ceti più elevati come segno di distinzione tra “i signori” e il popolo comune. I manifesti, dunque, vengono affissi in tutto il paese e soprattutto all’interno del centro storico e all’ingresso delle abitazioni dei familiari più stretti. Questo elemento con i suoi colori, con l’atmosfera che evoca costituisce un vero e proprio elemento scenografico nell’ambito di uno spazio costituito dalle strade cittadine; elemento che per l’occasione rompe la quotidiana normalità ed abitudinarietà della fruizione spaziale rendendo l’ambiente architettonico ogni volta nuovo e quasi irriconoscibile una sorta di trasmutazione dei luoghi che porta con sé del magico. In fondo, i manifesti che tappezzano i muri e che nel tempo si sovrappongono gli uni agli altri raggiungendo talvolta spessori considerevoli, contengono e condensano la storia del paese. Spazi murali appositamente creati deputati a raccogliere questa “storia” sono disseminati lungo i percorsi principali per permettere ai cittadini di recepirne il “messaggio” in modo ineludibile  tanto che la mancata conoscenza dell’evento diventa motivo di deplorazione da parte della comunità per il mancato ultimo saluto di chi abbia anche solo conosciuto superficialmente l’estinto. Ragion per cui diventa cogente visitare i parenti più prossimi nei giorni successivi la sepoltura.

La differenziazione dell’ingresso dell’abitazione dell’estinto con il panno funebre poi, oltre ad essere un elemento scenografico di notevole impatto è un elemento che caratterizza anzi evidenzia l’orientamento comunitario di ciascun abitante. Ciò prova l’importanza che i familiari danno al vicinato ma anche la consapevolezza di questi di appartenere ad una comunità alla quale si deve annunciare l’evento. Parimenti avviene in casi quali la nascita di un nuovo componente il nucleo familiare con l’applicazione all’ingresso di un fiocco colorato; quando un componente la famiglia esce per formarne un’altra con il matrimonio per cui si adorna l’ingresso con addobbi floreali.

Passiamo ora all’analisi di quello che costituisce il clou di tutto il rito funebre: “il corteo” proprio per la sua spettacolarità nella esibizione coreografica. L’ora scelta per il corteo è sempre pomeridiana - dopo le 15 - quando il sole non è molto caldo ma c’è ancora molta luce. La scelta di tale ora è dettata essenzialmente da esigenze pratiche di buona riuscita  del corteo. Si tratta di un’ora che permette alla gente che ha finito di lavorare di poter partecipare al funerale e quindi di avere quello che si suol dire un “buon accompagnamento”, cosa a cui tutti i cortei tendono per mostrare al resto del paese che si trattava di una persona ben voluta e conosciuta. I partecipanti al corteo si riuniscono davanti alla casa dell’estinto; nel frattempo arrivano le corone dei fiori, il carro funebre ed il prete che da la sua benedizione nella casa. La bara esce dall’abitazione e la si depone nel carro avendo cura di posizionarla con i piedi in avanti. Ciò perché si continua a considerare il morto come una persona ancora in vita che va avanti con i suoi piedi. Il più delle volte quando la giornata è bella la bara viene portata a spalle da amici dei familiari facendo seguire il carro: un segno per rimarcare l’affetto verso l’estinto. Ora i protagonisti del corteo ci sono tutti come in una scena teatrale e questo comincia a prendere forma non secondo una disposizione casuale bensì seguendo un rigido schema distributivo. Uno schema fatto per gradi che gli incaricati delle pompe funebri mettono in atto ad ogni corteo. Anche i familiari partecipano attivamente all’attuazione dello schema riferendo i nominativi di chi deve assumere particolari posizioni.

Alla testa del corteo si dispongono dei ragazzini che portano dei cuscini di fiori da un minimo di uno fino ad un massimo di dieci. Seguono il prete con ai lati due chierichetti. Il prete non è presente se il defunto non era un credente ed al suo posto in alcuni casi veniva messa la banda musicale del paese, anche se non mancano i casi in cui entrambi sono presenti. La banda musicale quando è presente diventa un elemento importante per il coinvolgimento collettivo richiamando la gente che si affaccia dai balconi e finestre, si raccoglie agli angoli delle strade svolgendo in tal modo non solo la funzione passiva di spettatore ma inconsapevolmente assume anche una funzione attiva che è quella di essere attore della scena che si sta svolgendo.

Sempre seguendo lo schema distributivo degli elementi portanti del corteo, al prete o alla banda segue il carro funebre con ai suoi lati sei o otto uomini che formano il cosiddetto “laccio”. La scelta dei componenti del laccio non è assolutamente casuale ma anch’essa segue delle regole ben precise: essi vengono scelti dai familiari tra gli amici che praticano lo stesso mestiere del defunto in numero di due e vengono disposti ai due lati vicino alla testa del carro mentre gli altri quattro o sei vengono scelti tra gli amici dei figli ed anch’essi devono esercitare lo stesso mestiere dei figli  e disposti a scalare ai lati del carro secondo la maggiore o minore età degli stessi. I nomi dei componenti il laccio vengono comunicati dai familiari subito dopo il decesso agli addetti alle pompe funebri i quali si incaricano di avvisare i protagonisti della scena del laccio di quella che è stata la volontà della famiglia di investirli di un ruolo così importante nell’ambito del corteo.

L’usanza di formare un cordone - il laccio – appunto, con al centro il defunto vuole essere la rappresentazione del cerchio della vita che si è chiuso con la morte . Il punto di contatto tra l’interno del cerchio che è fatto di morte e l’esterno che è la vita è dato dal laccio che è fatto dal lavoro familiare elemento considerato importante nell’ambito del posizionamento sociale assunto dalla famiglia durante il periodo di esistenza in vita del defunto.

Dietro la bara si dispongono i familiari e i  parenti. Le donne nella maggior parte dei cortei non partecipano ed investono un ruolo principale nella casa. Ai parenti seguono le corone di fiori che possono andare da un minimo di due fino ad un massimo di venti disposte rispettando i gradi di parentela. Dietro le corone sfilano coloro che formeranno “l’accompagnamento”: si tratta di amici e conoscenti dell’estinto e dei suoi familiari. Il corteo così formato si avvia per raggiungere la chiesa della zona di sua appartenenza, quindi, entra nella chiesa appositamente addobbata secondo la liturgia della messa funebre e, una volta terminata la cerimonia, si ricompone nuovamente per raggiungere l’abitazione dell’estinto sfilando per tutta la sua lunghezza davanti ad essa.

Questo percorso, che nella maggior parte dei casi non è necessario per il raggiungimento del centro storico, è invece dovuto alla necessità di far passare il feretro già benedetto, davanti all’abitazione per l’ultimo saluto alle donne che non hanno partecipato al rito ed altresì per mostrare il corteo funebre nella sua interezza sia alle stesse che al vicinato che partecipa affacciandosi alle finestre e balconi o scendendo in strada. In ciò, lo stesso vicinato si trasforma da semplice spettatore in  attore inconsapevole di ciò che possiamo definire un teatro di strada.

Il corteo, poi, percorre le strade principali del paese e,  prima di raggiungere il cimitero,  si dirige verso il centro storico entrando da una delle tre porte d’accesso e precisamente dalla Porta di S. Michele percorrendo all’interno del centro storico un percorso fisso per uscirne dall’altra Porta,  quella dell’arco di S. Agostino. Durante questo percorso emergono chiaramente le modifiche scenografiche che i luoghi subiscono per effetto dello snodarsi del corteo funebre: una di queste riguarda la partecipazione del paese all’evento che si evidenzia attraverso la sospensione di tutte le attività lavorative che si svolgono a pian terreno quando il corteo sfila davanti ad esse, mostrata con l’azione dell’abbassamento delle saracinesche. Dunque, il paese si ferma, e questo fatto oltre a produrre un notevole effetto scenografico, è un modo per ribadire lo spirito comunitario proprio attraverso un’azione di empatia che lascia trasparire ed evoca molto da vicino l’azione teatrale che con l’arte della mimesi fa sì che gli stessi attori  non rimangano coinvolti emotivamente ma appunto “entrino nella parte”. In questo caso gli spettatori sono essi stessi attori inconsapevoli della scena teatrale che si sta svolgendo nel paese . La prova di ciò è che la gente partecipa al funerale di una persona che non conosce direttamente ma che sa essere un coetaneo. Nello stesso tempo però ci si pone anche un’altra domanda e cioè da dove derivi questo spirito comunitario che come abbiamo visto porta a fare azioni che per certi versi possono apparire teatrali.  In altri termini cosa spinge la gente di strada ad unirsi ad un corteo funebre o a sostare agli angoli delle strade, guardare dai balconi o ad interrompere le attività lavorative per assoggettarsi ad un dovere morale a cui da atto in una maniera quasi stereotipata, automatica come se fosse assorbito da una forza sconosciuta.  E’ facile intuire che questa forza sconosciuta è appunto la morte che può arrivare in qualsiasi momento per colpire chiunque,  e di qui il timore reverenziale e quindi il rispetto mostrato durante il passaggio del feretro, di qui la prova di solidarietà collettiva verso il coetaneo colpito. Ognuno a suo modo partecipa,  ed è interessante vedere soprattutto gli anziani, i vecchi del paese togliersi la “coppola” e chinare la testa in segno di rispetto. Si tratta di gente abituata da sempre a togliersi la coppola davanti ai “padroni” e che sente come in effetti la morte sia la padrona di tutti e da ciò il rispetto per essa.  Il culto della morte è sempre stato presente specie in gente che ha sempre lavorato duro e che ha vissuto in condizioni piuttosto misere e che si è sempre sentita umiliata dai padroni trovando appunto nella morte quella forma di giustizia divina che vince su quella terrena che è invece di parte. La morte che colpisce senza far discriminazioni di ceti sociali; essenzialmente dunque,  la considerazione che davanti ad essa si sia finalmente tutti uguali.

Quarant’anni fa il corteo funebre poneva termine al suo percorso al di fuori della Porta arco di S. Agostino poiché questo era considerato il limite del paese ed era proprio qui che il prete dando l’ultima benedizione al feretro permetteva  al corteo di sciogliersi mentre i familiari proseguivano da soli il resto del percorso fino al cimitero. Intorno agli anni Settanta-Ottanta,  avendo il paese enormemente ingrandito il proprio territorio, si è avvertita la necessità di allungare il percorso del corteo sino ad una strada adiacente il cimitero senza tuttavia alterare il percorso all’interno del centro storico ed il successivo passaggio obbligato sotto l’arco della Porta di S. Agostino. Infatti,  è proprio questo passaggio obbligato del feretro attraverso la Porta - che il più delle volte costringe il corteo a percorrere tanta strada in più prima di raggiungere il cimitero - che si è cercato di indagare. Domandando, infatti, a  diversi anziani e vecchi del paese la ragione per cui il percorso dovesse avere come passaggio obbligato proprio l’arco di S. Agostino,  questi  con estrema naturalezza rispondevano che tutti i morti devono passare di lì e nell’ipotesi remota di morte apparente il supposto defunto avrebbe tempo fino all’arco per dare segni di vita e dunque per poter uscire dalla sua bara poiché nel caso lo facesse più tardi e cioè oltre la soglia dell’arco verrebbe ugualmente portato al cimitero. Ciò ci fa riflettere sulla rigidità delle regole e delle leggi di convivenza che stanno alla base di una comunità. Oltre un certo limite, una volta che il rito si è consumato la comunità non accetta più che un suo membro possa ritornare in  vita; ormai essa ha eseguito puntualmente come in un copione tutta la sua parte, tutto ciò che doveva fare lo ha fatto: quella persona ormai appartiene al regno dei morti. Emerge, dunque, con tutta la sua aura di mistero il concetto dell’irreversibilità del rito. Il rito funebre, come rito di passaggio insieme ad altri riti - per esempio quelli di iniziazione dell’antica Grecia (i misteri eleusini) - oltre a portare con sé una componente magica e di sacralità ha soprattutto la funzione di essere irreversibile. In questo modo si spiega la risposta così naturale data dai “vecchi” a queste forme rituali e comportamentali capaci di influenzare profondamente la ragione con la loro ripetizione cieca ed automatica.

Come ultimo atto, il corteo una volta raggiunta una strada prossima al cimitero si scioglie assumendo un’altra conformazione: i familiari si dispongono in fila e davanti a loro sfilano i partecipanti che uno alla volta si apprestano a dare l’ultimo saluto. Il rituale, la partecipazione collettiva è così terminata e resta da completare quello della sepoltura con i soli familiari stretti e della cena di conforto (u cu:nz) preparata dai parenti ai familiari.

Una delle considerazioni che restano da fare sul corteo riguarda proprio l’impatto esercitato sulla vita normale del paese: esso ha una padronanza assoluta delle strade senza ricorrere a nessuna autorizzazione. Una padronanza che vuol essere il recupero del paese da parte dell’abitante anche se alla fine del suo percorso esistenziale ed il corteo mette in evidenza appunto la relazione tra abitante e paese. Le strade perdono la loro funzione abituale e si lasciano impossessare per l’ultima volta dal paesano che se ne va per sempre.

C’è anche da considerare che esiste un rapporto inversamente proporzionale tra estrazione sociale dell’estinto e magniloquenza del rito: quanto più ricco e nobile è il defunto tanto più semplice e scarno diventa il rito mentre si mostra tanto più grandioso e fastoso quando ad esempio il morto era un malvivente, fastosità mostrata attraverso enormi addobbi floreali.

Naturalmente l’analisi finora condotta riguarda una ritualità tipica che al suo interno contiene comunque innumerevoli differenziazioni e che negli ultimi tempi va sempre più nella direzione della semplificazione del rito sino alla completa eliminazione del corteo avvenuta all’incirca quindici- venti anni or sono. Un ultima considerazione, ma non meno importante, va fatta sul ruolo svolto dalla donna in questo rito che è un ruolo di subalternità come è emerso dall’analisi. Si tratta di un tipo di comunità patriarcale dove l’uomo svolge il ruolo principale nel lavoro quotidiano ragion per cui alla morte della donna-moglie il rito funebre assume lo schema come se il morto sia il marito.

 

Conclusione:

La teatralità di quest’evento risulta evidente proprio nei toni in cui si manifesta la ritualità in un continuo rapporto di parti e finzioni.

Colui che partecipa al rito è un attore di se stesso; il passante che vede sfilare il corteo è spettatore ma contemporaneamente è anche attore poiché compie la sua parte sostando, togliendosi la coppola, e facendo diventare il corteo spettatore. La differenziazione tra passante e corteo è data proprio dall’elemento della mobilità dello stesso che permette ai componenti il corteo una maggiore fruizione dell’evento in tutto il suo percorso, contrariamente il passante per la sua immobilità ne fruisce per il solo tempo che il corteo gli sfila davanti. Questo rapporto di reciprocità tra attore – spettatore lo si può ritrovare anche nella casa del morto: colui che entra è spettatore della scena che trova all’interno della casa che ha come protagonista i familiari ma contemporaneamente egli è un attore che mette in atto la propria parte: mostrare partecipazione, dare le condoglianze ai parenti, sostare, facendo così divenire i presenti degli spettatori. Nella casa, dunque, è esattamente il contrario di ciò che avviene per il corteo: l’immobilità dei familiari permette ad essi di fruire dell’evento teatrale in tutta la sua durata mentre colui che viene a fare visita è fruitore per il solo tempo che resta all’interno della casa che per l’occasione diventa: “luogo teatrale”.

 

RAPPORTO ATTORI-SPETTATORI NELLA CASA DEL MORTO

 

RAPPORTO ATTORI-SPETTATORI NEL CORTEO FUNEBRE

 

Insomma, uno scambio continuo di ruoli e funzioni che rompendo gli schemi classici del teatro ci introduce nell’universo dell’interattività e pertanto ci porta a definire il rito funebre un esempio di teatro globale.

In ultimo, questi riti portano con se un grande valore dato dal patrimonio culturale che nei secoli hanno accumulato che è un patrimonio di socialità e di identità collettiva. Nei nostri giorni, con la maggior espansione del traffico urbano e con l’avvento di ritmi  del tutto simili a quelli di una società industrializzata dove i legami di vicinato e sociali in genere si allentano sempre più constatiamo la perdita di gran parte della ritualità tipica analizzata nella presente ricerca perdendo con ciò gran parte della nostra identità e vera storia. Una storia che spesse volte è stata dura, cruda ma che rimane pur sempre la nostra storia: quella di un mondo contadino che va scomparendo.

Non si può non essere grati a tutti coloro che testardamente e con ostinazione ancora oggi continuano a perpetuare frammenti di un patrimonio culturale ad alto valore simbolico nella speranza che le nuove generazioni lo accolgano non con spirito di oscurantismo ma critico e consapevole.

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